«Questo è il Paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere!» – su ilsecolo.eu . Il Movimento Futuro Italia ricorda, G. Falcone un uomo rimasto solo, vittima della mafia insieme a Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Il 19 gennaio 1988, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. A favore di Falcone, votò anche il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo, Gian Carlo Caselli, in dissenso con la corrente di Magistratura Democratica cui apparteneva.

Da qui in poi Falcone e i suoi dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività. Cosa nostra intanto assassinò  l’ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da parte di Vito Ciancimino durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione sconfessò l’unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone.

Il 30 luglio Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, e Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, come predetto da Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe l’ulteriore amarezza di vedersi preferito Domenico Sica alla guida dell’Alto Commissariato per la lotta alla Mafia.

La vicinanza di Falcone al socialista Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da diversi esponenti politici. In particolare, l’appoggio di Martelli fece destare sospetti da parte del Partito Comunista Italiano e di altri settori del mondo politico (Leoluca Orlando in primis, oltre a qualche altro esponente della DC e diversi giudici aderenti a Magistratura Democratica).

Il 10 agosto 1991, ai funerali in Calabria di Antonino Scopelliti, Falcone sentì di essere in pericolo e confida al fratello del collega: «Se hanno deciso così non si fermeranno più… ora il prossimo sarò io».

Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone venne convocato davanti al CSM in seguito all’esposto presentato il mese prima (l’11 settembre) da Leoluca Orlando. L’esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo».

Il 12 gennaio 1992 in una trasmissione televisiva su RaiTre a seguito di una domanda posta da una persona del pubblico affermò:

«Questo è il Paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere!» – su ilsecolo.eu

il 23 maggio 199

2 Falcone viene assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, Due giorni dopo, il 25 maggio, mentre a Roma viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l’intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti e Giovanni Galloni, vengono duramente contestati dalla cittadinanza. Le immagini televisive delle parole e del pianto straziante della giovanissima Rosaria, vedova dell’agente Schifani, “io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio“, susciteranno particolare emozione nell’opinione pubblica.

Il magistrato Ilda Boccassini dichiarò rivolgendosi ai colleghi nell’aula magna del tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo il magistrato, che si farà trasferire a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci, ricordò anche il linciaggio subito dall’amico Falcone da parte dei suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui Falcone aderiva: « Le parole più gentili, specie da Magistratura democratica, erano queste:

Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un’altra, come hanno fatto il Consiglio superiore della magistratura, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l’unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione.